Quadro legislativo
La normativa europea mirata a garantire il rispetto effettivo e sostenibile della partecipazione dei lavoratori è la Direttiva 2002/14/CE dell’11 marzo 2002 che istituisce un quadro generale per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nella Comunità europea. La direttiva sottolinea la necessità di rafforzare il dialogo e promuovere la fiducia reciproca all’interno delle aziende per migliorare la prevedibilità dei rischi, rendere più flessibile l’organizzazione del lavoro e facilitare l’accesso alla formazione, pur mantenendo la sicurezza, sensibilizzare i lavoratori sulla necessità di adattarsi alle nuove esigenze, migliorare l’occupabilità, promuovere il coinvolgimento dei lavoratori nell’attività e nel futuro dell’azienda, anche aumentandone la competitività.
La Direttiva 2002/14/CE del 2002 si riferisce ai lavoratori come a qualsiasi persona che, in uno Stato membro, è tutelata dal diritto del lavoro nazionale e in conformità alle prassi nazionali.
Inoltre, per datore di lavoro si intende una persona fisica o giuridica che è parte di un contratto di lavoro o di un rapporto di lavoro con i dipendenti, in conformità alle leggi e alle prassi nazionali.
DA NOTARE
Il contratto di lavoro è il rapporto giuridico che offre la tutela più ampia al lavoratore.
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La percezione pubblica è che il contratto di lavoro sia la base più auspicabile per l’occupazione, in quanto fornisce ai lavoratori i maggiori diritti.
Questo include, ad esempio:
- protezione speciale dei salari,
- applicazione degli standard dell’orario di lavoro, riposo giornaliero e settimanale, pause e permessi, limitazione degli straordinari,
- la concessione di congedi: congedi annuali, congedi di maternità, congedi parentali,
- responsabilità materiale limitata,
- formazione,
- rispetto della procedura di licenziamento,
- condizioni di lavoro sicure e igieniche,
- sicurezza sociale e il pagamento di prestazioni in denaro.
I diritti dei dipendenti comprendono la partecipazione intesa come l’informazione in termini di:
- lo sviluppo recente e probabile delle attività dell’azienda o dello stabilimento e la loro situazione economica;
le consultazioni su:
- la situazione, la struttura e la probabile evoluzione dell’occupazione nell’azienda o nello stabilimento e le misure previste quando l’occupazione è a rischio, le decisioni che possono portare a cambiamenti significativi nell’organizzazione del lavoro o nei rapporti contrattuali.
L’informazione e la consultazione tempestive sono un prerequisito per il successo della ristrutturazione e per l’adattamento delle imprese alle nuove condizioni create dalla globalizzazione dell’economia, in particolare in vista dello sviluppo di nuove forme di organizzazione del lavoro. Il rafforzamento del dialogo sociale è destinato a servire l’occupazione trattata come un obiettivo prioritario a cui si applicano i concetti di: “anticipazione”, “prevenzione” e “occupabilità” incorporati in tutti i programmi pubblici e nelle strategie aziendali.
- la direttiva (UE) 2019/1152 del 20 giugno 2019 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione mira agli interessi dei lavoratori nel contesto delle emergenti atipiche forme di lavoro.
La direttiva definisce nuovi (ulteriori) diritti minimi per promuovere la sicurezza e favorire le mosse previste (pianificate) riguardanti i rapporti di lavoro, contribuendo al contempo alla convergenza e mantenendo l’adattabilità del mercato del lavoro in vista dello sviluppo della flessibilità e della necessità dei datori di lavoro di adattarsi ai cambiamenti economici. Indipendentemente dal tipo e dalla durata dell’impiego dei lavoratori, occorre garantire il diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro, l’accesso alla protezione sociale e alla formazione, e sostenere la transizione verso forme di lavoro a tempo indeterminato. È inoltre opportuno promuovere soluzioni innovative che garantiscano un lavoro di alta qualità, nonché incoraggiare l’imprenditorialità e il lavoro autonomo e facilitare la mobilità lavorativa.
DA NOTARE
Secondo la Direttiva (UE) 2019/1152 del 2019, il datore di lavoro deve garantire un’occupazione stabile e assicurare condizioni di lavoro adeguate e sicure. Allo stesso tempo, ha il diritto di attuare la flessibilità, ma entro limiti ragionevoli.
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I contratti atipici non devono essere abusati e portare all’incertezza nei rapporti di lavoro. Le legislazioni nazionali e i contratti collettivi devono garantire la sicurezza dei lavoratori e l’alta qualità del lavoro, che può essere raggiunta attraverso la necessaria flessibilità che elimina gli abusi e non permette ai lavoratori di essere sfruttati a causa della loro posizione più debole nel rapporto con il datore di lavoro. Secondo la Direttiva (UE) 2019/1152 del 2019, i lavoratori con uno status atipico, come i lavoratori che prestano lavoro da casa, i lavoratori a chiamata, i lavoratori occasionali, quelli coperti da un sistema di voucher di servizio, quelli che utilizzano piattaforme online di intermediazione e i tirocinanti e apprendisti, possono essere soggetti alla Direttiva, a condizione che soddisfino i criteri per essere considerati un lavoratore. Allo stesso tempo, va sottolineato che il lavoro autonomo abusivo è una forma di lavoro fittizio il cui l’obiettivo è quello di evitare gli obblighi legali o fiscali, nonostante il fatto che le modalità di svolgimento delle mansioni soddisfino le condizioni caratteristiche di un rapporto di lavoro. La Direttiva (UE) 2019/1152 del 2019 non nega le forme di lavoro atipiche, ma sostiene la transizione verso un’occupazione più sicura se i datori di lavoro hanno la possibilità di offrire ai dipendenti una soluzione di questo tipo, ovvero di intraprendere un lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Altre direttive che stabiliscono i principi di tutela del lavoro si riferiscono ai lavoratori dipendenti in senso tradizionale, cioè a coloro che svolgono le loro mansioni sulla base di un rapporto di lavoro contraddistinto da caratteristiche quali la continuità, il tempo pieno, la subordinazione, la collocazione, il lavoro di gruppo, la gerarchia.
Se si accettano i contratti a tempo determinato come un tipo di occupazione flessibile, la Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato prescrive la non discriminazione, la prevenzione degli abusi, la formazione, l’informazione e la consultazione, avvicinandoli così per livello di protezione ai contratti a tempo indeterminato. Tuttavia, la differenza principale riguarda la durata del rapporto tra le parti, che è limitata a un termine. Nonostante il riconoscimento, in alcune situazioni, della necessità di un impiego per un periodo di tempo relativamente breve, adatto sia ai datori di lavoro che ai lavoratori, il modello di riferimento dovrebbe essere un rapporto giuridico che vincola entrambe le parti per un periodo di tempo indefinito.
DA NOTARE
Un lavoratore a tempo determinato è una persona che ha stipulato un contratto o un rapporto di lavoro direttamente con un datore di lavoro e la cessazione di queste forme di lavoro è determinata da condizioni oggettive, come l’arrivo di una data precisa, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
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Un’altra forma di occupazione flessibile è il lavoro a tempo parziale. Al fine di migliorare lo status di questo gruppo di lavoratori, la Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’Unione europea delle confederazioni dell’industria e dei datori di lavoro /L’UNICE/, dal Centro europeo per le imprese a partecipazione pubblica /CEEP/ e dalla Confederazione europea dei sindacati /ETUC/ ha stabilito i principi generali e i requisiti minimi per eliminare la discriminazione e l’abuso consistenti nell’offerta di lavoro di qualità inferiore. In alcuni settori e attività selezionate, il lavoro a tempo parziale è molto diffuso. Queste opzioni vanno accolte favorevolmente dai lavoratori che vogliono ritirarsi gradualmente dal mercato di lavoro preparandosi alla pensione, da chi vuole conciliare il lavoro e vita familiare oppure per sfruttare le opportunità di istruzione e formazione per migliorare le proprie competenze e sviluppare la propria carriera, a vantaggio anche dell’imprenditorialità, della concorrenza e della salute dell’economia. I datori di lavoro non devono trattare le persone che lavorano a tempo parziale in modo meno favorevole rispetto ai dipendenti a tempo pieno, a meno che i termini e le condizioni di lavoro diversi non siano giustificati da ragioni oggettive.
DA NOTARE
Un lavoratore a tempo parziale è una persona il cui numero di ore di lavoro, calcolato su una media settimanale o sulla base di una media su un periodo di lavoro fino a un anno, è inferiore al numero tipico di ore di lavoro di un lavoratore a tempo pieno comparabile che svolge lo stesso lavoro o un lavoro simile, tenendo conto di altri fattori quali l’anzianità (esperienza), le qualifiche o le competenze.
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Dato l’importante ruolo del lavoro a tempo parziale, è auspicabile promuoverlo rimuovendo gli ostacoli legali o amministrativi che possono limitarne l’applicabilità. In particolare, il lavoro a tempo parziale dovrebbe essere regolato dai contratti collettivi o dagli altri accordi tra le parti sociali. I datori di lavoro sono liberi di gestire il lavoro in termini di carico di lavoro, ma se un dipendente rifiuta di passare alla posizione a tempo pieno proposta (da tempo pieno a tempo parziale o viceversa), tale decisione non può essere considerata un motivo per licenziare il dipendente o imporgli una sanzione specifica.
Un esempio classico di lavoro atipico è il lavoro interinale contrattato tramite una agenzia, che consiste nell’indirizzare un dipendente a un datore di lavoro utilizzatore perché svolga delle mansioni per lui. L’intermediazione è affidata a un’agenzia, che è responsabile della corretta selezione del personale e della tenuta dei registri di assunzione. Il datore di lavoro utilizzatore si limita a supervisionare e gestire il processo di lavoro. L’atto che regola i termini e le condizioni di lavoro è la Direttiva 2008/104/CE del 19 novembre 2008 sul lavoro tramite agenzia interinale. La direttiva sottolinea l’importanza di questa forma di attività come un contributo alla creazione di posti di lavoro e all’aumento della partecipazione delle persone al mercato del lavoro. La direttiva stabilisce un quadro giuridico per la protezione dei lavoratori temporanei caratterizzato dalla non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, nel rispetto della diversità delle esigenze del lavoro e delle relazioni industriali. Un aspetto importante per migliorare la qualità del lavoro interinale è la definizione dei prerequisiti che ne autorizzano l’uso e la standardizzazione degli obblighi reciproci tra l’agenzia e il datore di lavoro utilizzatore nei confronti del lavoratore che vi è soggetto, che dovrebbero promuovere efficacemente forme adeguate di lavoro flessibile.
DA NOTARE
Secondo la Direttiva 2008/104/CE, per lavoratore si intende qualsiasi persona che, nello Stato membro interessato, è tutelata come lavoratore ai sensi del diritto del lavoro applicabile. Un lavoratore interinale, invece, è una persona impiegata da un’agenzia di lavoro interinale in base a un contratto di lavoro o a un rapporto di lavoro collegato a tale agenzia, allo scopo di essere assegnata a svolgere un lavoro su base temporanea sotto la supervisione e la direzione dell’impresa utilizzatrice.
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Il Pilastro europeo dei diritti sociali (PEDS) del 17 novembre 2017 stabilisce gli standard occupazionali. Il documento è un insieme di venti principi e presupposti fondamentali adottati per favorire la crescita economica e le condizioni di lavoro eque e desiderabili negli Stati membri. I principi che meritano la nostra particolare attenzione sono:
- pari opportunità e accesso all’occupazione, che consiste in: istruzione, formazione e apprendimento permanente; parità di genere; pari opportunità; sostegno attivo all’occupazione;
- condizioni di lavoro eque, tra cui: un’occupazione sicura e flessibile; la retribuzione; l’informazione sulle condizioni di lavoro e la tutela in caso di licenziamento; il dialogo sociale e l’impegno sociale dei lavoratori; l’equilibrio tra vita privata e vita professionale; un ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato; la protezione dei dati personali. L’adozione del PEDS è stata giustificata dal fatto che i mercati del lavoro e le società stanno evolvendo rapidamente, con la globalizzazione, la rivoluzione digitale, il cambiamento dei modelli di lavoro e le tendenze demografiche e sociali che creano nuove opportunità, sfide ed esigenze, tra cui possiamo senza dubbio includere il lavoro atipico.
L’EFPS sottolinea che la transizione verso le forme di occupazione più aperte dovrebbe essere sostenuta e che ai datori di lavoro dovrebbe essere concessa la necessaria flessibilità, in conformità con la legislazione e i contratti collettivi, in modo che possano adattarsi facilmente ai cambiamenti del contesto economico. È necessario rafforzare le forme innovative di occupazione che garantiscano le condizioni di lavoro di alta qualità, nonché incoraggiare l’imprenditorialità e il lavoro autonomo e facilitare la mobilità del lavoro. Allo stesso tempo, è necessario prevenire la nascita di rapporti di lavoro che portano a condizioni di lavoro precarie. È quindi legittimo vietare l’abuso di contratti di lavoro atipici.